Un Servu e un Cristu è un brano presente nell’album Nesci Suli e, con arrangiamento diverso, in Razza Marranchina – Il popolo racconta.
Il testo originale è un’antichissima canzone popolare siciliana intitolata da Lionardo Vigo Lamento di un servo ad un santo crocifisso. Lionardo Vigo pubblicò questo testo in una raccolta di canti siciliani per la prima volta nel 1857. Fu immediatamente censurato dalla Chiesa e ridistribuito, con una versione della risposta del Cristo epurata dall’incitazione alla reazione. L’incontro con l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani ha permesso a Mimmo Martino di proporre un testo che comprendesse sia la versione fedele all’originale popolare, che la versione imposta dalla Chiesa.
Un servu tempu fa, di chista piazza
cussì priava a Cristu, e nci dicìa:
“Signuri, ’u me’ patruni mi strapazza,
mi tratta comu’n cani piì la via,
tutti mi pigghia cu’ la so’ manazza,
la vita dici chi mancu è la mia.
Si jeu mi lagnu chiu, peju amminazza,
ch’i ferri mi castija a prigiunia,
und’io mo’ ti pregu: chista malarazza
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia,
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia,
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia”.
E Cristu nci rispusi da la cruci:
“E tu forsi chi hai ciunchi li vrazza?
Oppuru l’ha ’nchiuvati com’a mia?
Cu’ voli la giustizia si la fazza,
non speri c’atru la fazza pi’ tia.
Si tu sì omu e non sì testa pazza,
menti a profittu ’sta sintenzia mia:
jeu nun sarìa supr’a ’sta cruciazza,
s’avissi fattu quantu dicu a tia!”
Ma a Cresia ’sta risposta non nci piacìu, e cusì la cangiàu:
“E tu chi ti scurdasti, o testa pazza,
chiddu ch’è scrittu ’nt’a la leggi mia?
Sempr’in guerra sarà l’umana razza
si cu’ l’offisi l’offisi castija.
A cu’ l’offendi lu vasa e l’abbrazza
e in Paradisu sidirai cu’ mia.
M’inchiovaru l’Ebrei ’nt’a ’sta cruciazza,
e cielu e terra disfari putìa!”
Ma a nui ndi piaci m’a cantamu cusì:
“E tu forsi chi hai ciunchi li vrazza?
Oppuru l’ha ’nchiuvati com’a mia?
Cu’ voli la giustizia si la fazza,
non speri c’atru la fazza pi’ tia.
Si tu sì omu e non sì testa pazza,
menti a profittu ’sta sintenzia mia:
jeu nun sarìa supr’a ’sta cruciazza,
s’avissi fattu quantu dicu a tia!”
Und’io mo’ ti pregu chista malarazza
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia,
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia,
distruggimmila tu, Cristu, pi’ mia.
Jeu nun sarìa supr’a ’sta cruciazza
s’avissi fattu quantu dicu a tia!
Un servo tempo fa, in questa piazza
Con queste parole Cristo pregava:
“Signore, il mio padrone mi maltratta
Come fossi un cane per la via
Con le sue manacce arraffa tutto
Nega persino che la vita sia mia
E più mi lamento, più mi minaccia
Mi imprigiona e mi sevizia
Così ti prego questa vile razza
Distruggila Tu, Cristo, per me”
E Cristo dalla croce rispose:
“Che son paralizzate le tue braccia?
Oppure sono inchiodate come le mie?
Chi vuole la giustizia se la faccia
E non si aspetti l’intervento altrui
Se sei un uomo e non sei impazzito
Metti a profitto questo mio consiglio
Adesso non sarei su questa orrenda croce
Se avessi fatto ciò che dico a te”
Ma questa risposta alla Chiesa non piacque e così la cambiò:
“Pazzo, hai dimenticato il mio Verbo?
Sempre in guerra sarà la razza umana
Se all’offesa, con l’offesa risponderà
Il tuo nemico bacerai e abbraccerai
Ed al mio fianco in Paradiso siederai
Mi lasciai crocifiggere dagli Ebrei
Pur potendo distruggere cielo e terra”
Ma a noi piace cantarla così:
“Che son paralizzate le tue braccia?
Oppure sono inchiodate come le mie?
Chi vuole la giustizia se la faccia
E non si aspetti l’intervento altrui
Se sei un uomo e non sei impazzito
Metti a profitto questo mio consiglio
Adesso non sarei su questa orrenda croce
Se avessi fatto ciò che dico a te”
NOTE
Interessante il racconto di Lionardo Vigo nelle note del volume “Canti Popolari Siciliani” pubblicato nel 1874.
«Questa canzone fu soppressa e sostituita da quella che comincia: E tu chi ti scurdasti o testa pazza etc. p. 304 N. 14 dell’edizione 1857, per il fatto seguente.
A 17 settebre 1857 il Cardinale Ronsisvalle, secondo R. Revisore in Catania, (giacché prima per ordine del Maniscalco aveva tartassato il mio volume il prof. Garajo di Palermo) ne permise la pubblicazione, che fu autorizzata dal sig. Angelo Panebianco Intendente della Provincia. Quando all’alba del 18 ordinò costui inaspettatamente il sequestro di tutte le copie, e chiese l’autografo dell’opera firmato dal Garajo e dal Maniscalco, lo sgomento mio e del Galatola fu massimo, perché ignoravamo il motivo di quell’ordine birresco. Tentammo insieme parlare col Panebianco, ma ci fu impossibile, essendo egli in lutto per la morte del genero. Allora mi rivolsi all’intimo di lui amico, il Reggente Celestino da Terranova, il quale mi ricevette, dopo una interminabile messa cantata, in sagrestia e accordandomi la di lui protezione, mi promise parlargli, e la sera del 19 mi riferì essergli dispiaciuta l’ottava sopra scritta.
Fu questo per me un vero balsamo; dapoiché mi convinsi che quel feroce Proconsole non erasi addato di tutte le idee rivoluzionarie, che qui e là avea io saputo insinuare nei vasti Prolegomini, nelle note e nei canti del libro.
All’istante sostituii la seguente all’ottava anatemizzata; fu rifatto il cartesino, e l’opera al momento diffusa. La risposta spuria dicea così:
Risposta del Crocifisso
E tu chi ti scurdasti o testa pazza,
Chiddu ch’è scrittu ‘ntra la liggi mia?
Sempri ‘nguerra sarà l’umana razza
Si ccu l’offisi l’offisi castija;
A cui t’offenni lu vasa e l’abbrazza,
E in Paradisu sidirai ccu mia:
M’inchiuvaru l’ebrei ‘ntra sta cruciazza,
E celu e terra disfari putia.
Oggi benedicendo la libertà riconquistata dal popolo per incitamento de’ letterati, la pubblico, pregando Dio che lo sgoverno italico non ci costringa a maledire i sacrifici patiti per ottenerla.»